DICEBAMUS HERI... la "Tunica stracciata" alla sbarra (Tito Casini, 1967)
Publié : sam. 09 avr. 2022 11:11
DICEBAMUS HERI... la "Tunica stracciata" alla sbarra
(Tito Casini, 1967)
«DONEC EGREDIATUR SPLENDOR»
Lieto di un «episodio» (il più grave, secondo lui; il più importante, secondo me) della guerra
allora e tuttora in atto intorno al mio libro La Tunica stracciata, uno dei miei più cordiali «nemici»
scriveva, nella sua rivista Testimonianze: «Non so se Tito Casini, dopo tanta disavventura, ha
deciso di ritirarsi»; mentre, ansiosi per lo stesso «episodio», altri si chiedevan lo stesso augurando
il contrario. Al desiderio degli uni come al timore degli altri rispondono queste mie nuove pagine,
dettate dal medesimo amore che dettò quelle: amore confortato, anzi che scoraggiato, da tale
«episodio», e sollecitato dal progressivo ruinare in basso loco di ciò che il libro aveva visto
abbandonar la verace via quel 7 marzo 1965.
Dico della Liturgia, e lo dico mentre a Roma si sta svolgendo, e volge alla fine, il Sinodo
episcopale, con dei progetti, nei riguardi del Culto, che ci hanno fatto rabbrividire, anche se la
quantità e qualità delle voci avverse (non bastassero Atti papali come la Lettera Sacrificium
Laudis e l'Allocuzione Ecce adstat) non ci consentono di dubitar della reiezione di quel
mostriciattolo focomelico, il peggior prodotto fin qui della talidomide riformistica, presentato
sotto la denominazione di «Messa normativa».
No, caro padre Balducci; no, innumerevoli amici che la speranza di lui ha turbato: io non mi
ritiro, io non diserterò il campo fino a che, socii passionum, come ora siamo, non lo saremo et
consolationis, ci sia dato di qua o di là rivedere il sole.
Propter Sion non tacebo, propter Ierusalem non quiescam, donec egrediatur splendor... e
questo nuovo libro non tanto è, pur essendo, una giustificazione dell'altro, quanto una ripresa,
dicebamus heri, e continuazione: non una difesa di me, in altre parole, ma di ciò che io difendevo
e difendo e che potrebbe aver per impresa parole di quell'«episodio»: Dei honorem, Ecclesiae
Sanctae decorem.
E chi sei tu, mi s'è chiesto e mi si può chiedere, da incaricarti di questo? A chi poteva o potesse
credere che io presuma di me risposi e rispondo che io sono un «asino», al servizio di Dio e della
sua Chiesa. La storia sacra ne ha più d'uno, degli asini, che han servito, da asini, ai disegni divini,
da quello di Balaam, a cui mi sono espressamente paragonato, a quello, cui non oso paragonarmi,
che Gesù cavalcò entrando in Gerusalemme e che certo non si montò la testa come se fossero per
lui gli osanna e per le sue zampe le vesti stese per terra. Meno immodestamente, mi paragono
all'asinus portans mysteria, senza l'illusione circa l'oggetto degli applausi.
Ce n'est pas vous, c'est l'idole à qui cet honneur se rend... Non a me, è fuor di dubbio, ma a ciò
che io porto, a ciò che io difendo - con gli zoccoli, se volete, per dire alla maniera degli asini - è
dovuto unicamente l'ampio consenso che hanno raccolto quelle mie pagine. Pagine di accusa,
pagine forti, lo riconosco e non sto a ripetere (l'ho fatto là e lo farò, qui, dentro) perché ho scritto
così. Faccio mie le parole con cui un gesuita inglese (autentico, secondo il cuore di sant'Ignazio),
il padre Christie, cappellano dell'Università di Cambridge, nel febbraio scorso, replicava alle
minacce di un prelato del suo stesso Ordine, di cui aveva pubblicamente rimbeccato le pubbliche
dichiarazioni «in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa di Roma». Invitato a scusarsi, egli
rispondeva: «No, non mi scuso, e non m'importa un bel niente delle reazioni che possono derivare
dal mio intervento... Nella vita di un uomo giunge sempre il momento in cui bisogna levarsi in
piedi e assumere la propria responsabilità. Così ho fatto».
Con la stessa tranquillità - Non timebo quid faciat mihi homo... - di fronte ai possibili inconvenienti, per me d'ordine umano, ho impugnato e torno, qui, a impugnare la penna, come ho creduto mio dovere, contro i sovvertitori di quella «regola del pregare» la cui stretta connessione con la «regola del credere» è detta da un celebre assioma: Legem credendi lex statuat supplicandi e veniva riconfermata or è poco da un celebre canonista dell'Università di Magonza, con un avvertimento di cui vediamo pur troppo in atto la verità: «Si pensa di poter difendere la Rocca della Dottrina cedendo la spianata davanti, che è la Liturgia; ma è proprio sulla spianata che si deciderà la battaglia». Ed è per amor di quella come di questa che noi restiamo sulla spianata.
Con quale speranza, cui bono, torniamo a chiederci, dal momento che l'«ordine», come si crede,
è di cedere e i capi ne dànno, «tutti», l'esempio? Alla domanda perché si ostinasse o credesse di
aver ragione a resistere, quando tutti i vescovi inglesi e tutto il Parlamento gli erano contro,
Tommaso Moro rispose (non ignorando ciò che gli sarebbe costato): «Per ognuno dei vostri vescovi
io ho centinaia di santi e per tutto il Parlamento io so di avere con me la Chiesa». Senza pensare
ad accostamenti che farebbero giustamente sorridere pur chiedendone licenza col si parva licet
con cui il poeta paragonava le api ai ciclopi, io sento di poter dire ugualmente. Di diverso, nel caso
mio, non c'è che il numero dei santi, tanto e cosi gloriosamente aumentato dopo la Controriforma.
Salvo questo, la mia risposta è la stessa: per il Consilium e per, tutti quelli che mi son contro, io so
di avere con me il Concilio e la Chiesa. Gli onesti intelligenti a cui il mio libro era destinato lo hanno
riconosciuto, e mi basta. Per gli altri, illusi o pervicaci zeloti della «nuova mentalità» (è ancora a
quell'«episodio» che io mi riferisco), vale ciò che fu detto parecchi anni addietro: Neque si quis ex
mortuis resurrexerit...
Quanto ai possibili «inconvenienti» (cose da nulla, in ogni caso) di questa mia posizione, io
tengo fede alla regola: Fais ce que dois, vienne ce que pourra: fa' quel che devi, accada quello che
vuole.
Per aver mantenuto fede, servendo la Chiesa, a questa sua massima, Giovanna d'Arco salì il
rogo. A me, per ora, è accaduto solo di vedermi rifiutare pubblicamente la Comunione.
Firenze, in festo Domini Nostri Iesu Christi Regis, 29 ottobre 1967.
Tito Casini
Continua...